Il punk visivo della Glitch art

Martino Prendini
4 min readMay 11, 2021

Vengo da un percorso di studi in ambito musicale, quindi conosco abbastanza bene le tipologie di sperimentazione che attraversano la storia della musica, che sia pianoforte preparato, circuit bending o ricampionatura analogica.
Ignoravo però che, in ambito visivo, potesse esistere un corrispettivo. Ho sempre pensato che la sperimentazione video fosse relativamente limitata ad un ambito analogico, ad esempio con l’uso del grandangolo che fa Welles o con gli obiettivi astronomici di Kubrick, o ad un ambito digitale, con tutto il suo universo cgi o di post produzione.
C’è invece una linea di confine, assolutamente meno netta e molto più vasta di quanto verrebbe da pensare, che sto iniziando a conoscere lavorando in ambito di live visual: la glitch art visuale.

Anzitutto, di cosa stiamo parlando? La prima cosa affascinante è la definizione, perché una definizione vera e propria non è possibile.
Il glitch in elettronica è un errore imprevedibile. Per estensione, la corruzione di codici, dati e segnali attraverso strumentazione analogica o digitale. Artefatti, interferenze, bug, rumori, si tratta anzitutto di una estetica dell’errore. Se in musica è facile pensare ad una glitch art, dato che è piuttosto in uso (dai Pan Sonic a Christian Fennesz) ed ha influenzato parte della cultura elettronica e dubstep, in ambito visivo il passaggio non è così immediato e risulta a tratti un territorio più vasto. L’errore diventa immagine e diventa movimento, sono gli errori del sistema che vengono sfruttati, ed in questo inevitabilmente c’è un’indole punk. E, al contempo, quest’arte sfrutta l’imprevisto e lo provoca, e l’indole è quindi anche entropica, quasi dadaista.
Glitch art vuol dire inoltre un’esplorazione della materialità dietro al video, analogico e digitale: distruggere e riassemblare per creare. Piegare processi automatizzati ad un’espressione umana, liberando qualcosa in certo modo latente. Disturbare, sovvertire la relazione fra utente e dispositivo tecnologico, quindi è inevitabile intravederne un certo nichilismo alla base.

Glitch art è quindi il contraddittorio rapporto fra uomo e macchina, laddove questo rapporto perde la propria funzionalità.

Per comprenderla meglio e sondarne un po’ l’estetica postmoderna, vorrei parlare di alcuni dei metodi più comuni per realizzare quest’arte.
Anzitutto, la glitch art nasce usando strumenti analogici. Si tratta di un universo molto vasto, naturalmente, che si basa sul disturbo del segnale continuo. Un esempio banale è l’uso del feedback, ovvero far tornare il segnale di output nell’input, oppure le modifiche al connettore vga e ai suoi pin.

Un’immagine dal festival GLI.TC/H 2112

Nam June Paik ha invece sviluppato il cosiddetto wobbulating: si tratta di distorcere i segnali di un tubo catodico attraverso l’uso di magneti.
Come nell’ambito musicale, esistono forme di circuit bending. Anche in questo caso si ricalibrano o ricostruiscono i circuiti di dispositivi elettronici, per farli agire in modo errato. L’hardware usato è di ogni tipo, basti pensare a noteNdo che realizza performance usando varie console Nintendo.

Circuit bending su una console Nintendo realizzato da noteNdo

Ma il glitch può essere prodotto anche lavorando su segnali digitali, oppure trasformando segnali analogici in digitali, attraverso le tecniche più disparate.
Una delle modalità fondamentali è il databending. Si tratta dell’interpretazione o della modifica di un file in modo incorretto, cambiandone i dati attraveroso un editor hex, ad esempio, oppure tramite la sonificazione, ovvero trattando un file video come un file audio. Kim Asendorf ha invece creato la modalità pixel sorting, un processo che riorganizza i pixel attraverso una parvenza di ordine consequenziale.

Un esempio di pixel sorting che ho realizzato con il codice di Kim Asendorf

Altra modalità è il datamoshing, che sfrutta la compressione video per creare artefatti e distorsioni di movimento. La tecnica più in uso è eliminare i fotogrammi chiave, che contengono tutti i dati video, lasciando solo i fotogrammi che contengono dati di movimento, trascinando in questo modo rimasugli di dati visivi sui movimenti dei fotogrammi successivi.
Per darvi un’idea di queste tecniche, questi sono alcuni miei esperimenti realizzati usando varie modalità glitch: databending sui singoli frame, sonificazione, datamoshing ed alcuni codici javascript di modifica generativa.

Al di là delle tecniche, la glitch art è legata a doppio filo con la massificazione digitale odierna ed il passato analogico nel quale siamo cresciuti, diventando sotto molti aspetti una forma elettronica di pop-art che si sporca con tendenze cyber-punk.
Oggi è parte del nostro background culturale, estendendosi a campi molto diversi: performance live visual, installazioni, videoclip, cinema, videogiochi, ma anche fotografia, arredamento, moda ed ambiti altrettanto insospettabili.
Mi piace pensarla come una forma di punk tecnologico, perché spesso agisce come denuncia, verso non solo il rapporto morboso che abbiamo con la tecnologia, ma il modo stesso in cui i media agiscono sulla nostra società e sul nostro comportamento, alimentando un mondo di consumo massificato. Una forma espressiva inevitabile in quest’epoca e, a tratti, indispensabile.

Per concludere vi lascio ad alcuni testi e strumenti utili per approfondire le teorie e l’essenza della glitch art:

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Martino Prendini
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I’m a rather curious animator who tries to take on new methods and forms of communication.